Un uomo, dovendo partire per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.
Al primo servo il padrone diede cinque talenti, al secondo due, al terzo uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì.
Colui che aveva ricevuto cinque talenti, comprò e rivendette, guadagnando altri cinque talenti. Altrettanto fece quello che ne aveva ricevuti due e ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento andò a fare una buca nel terreno e vi nascose
il denaro.
Tornato a casa il padrone, il primo e il secondo servo
presentarono i talenti raddoppiati, ricevendo così gli elogi per il loro impegno.
Il terzo servo, invece, presentò l'unico talento ricevuto dicendo che, per paura di perderlo, lo aveva nascosto sotto terra, suscitando così
la rabbia del suo padrone, il quale punì il servo fannullone
togliendogli l'unico talento e dandolo al primo servo, e poi lo cacciò dalla sua casa.

Tanti anni fa i talenti erano dei soldi, ma per noi vogliono rappresentare dei "doni" che Dio fa a ciascuno di noi. Il padrone della parabola è appunto Dio e i servi siamo noi. Se ricevi un regalo da qualcuno, che cosa fai, lo lasci incartato e lo riponi in un cassetto, oppure lo scarti e cominci ad usarlo? La stessa cosa deve accadere per i "doni" che Dio ci ha dato al momento della nostra nascita: intelligenza, volontà, coraggio... Non dobbiamo tenerli chiusi dentro di noi, senza metterli al servizio degli altri e anche nostro. Sarebbe una vera crudeltà e ci comporteremmo come il servo fannullone che nascose il suo denaro per non rischiare, e perse anche quel poco che aveva. Anche perché la parabola termina col dire che "a chi ha la capacità di dare" sarà dato ancora dell'altro, ma "a chi non ha questa capacità" sarà tolto anche quello che ha.

cfr. MATTEO cap. 25 vers. 14-30